“Come sono belli sui monti i piedi di chi annuncia la pace…” (Is 52,7). Il Messaggio del Vescovo Melillo per l’Avvento

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1. Carissimi fratelli e sorelle,

le parole del profeta Isaia ci fanno pregustare la bellezza di essere costruttori del Regno di Dio e annunciatori del lieto messaggio che il Signore è venuto a mostrarci con la sua stessa vita.

Si è appena concluso l’anno santo della misericordia ed abbiamo intrapreso il cammino di Avvento che ci condurrà alla gioia del Natale, e come pastore della Chiesa di Dio che è in Ariano Irpino – Lacedonia, desidero richiamare l’attenzione su quello che è stato il punto focale della nostra contemplazione di quest’anno: lo sguardo misericordioso del Signore che è diverso da qualsiasi altro sguardo, poiché «scava dentro – forse anche con un po’ di dolore – per riempire in misura traboccante di un Amore nuovo», come ricordavo nella mia Lettera pastorale, Lo guardò dentro e lo amò.

Tale sguardo deve trasformarci nell’intimo e renderci più consapevoli che siamo chiamati a metterci in cammino, a seguire il Signore come discepoli credibili, certi di essere sempre con Lui, fino a Gerusalemme, fino al Calvario ed oltre, nella vita delle nostre famiglie. In questo pellegrinaggio sulle orme di Gesù di Nazaret, l’Uomo che cammina, ci accorgiamo che siamo in compagnia di altri, di tanti volti che incontriamo e che dobbiamo accogliere come grazia. Tuttavia non c’è servizio alla causa del regno di Dio, non c’è programma pastorale che tenga, senza un quotidiano ascolto della parola del Signore, senza un sempre nuovo impegno di obbedienza ad essa e di testimonianza del suo messaggio al mondo. La comunità cristiana, infatti, «è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti» (Relatio Synodi n.1).

Questo è il desiderio più profondo che alberga il mio cuore e l’augurio che rivolgo a tutta la nostra chiesa diocesana per questo tempo di attesa e di ascolto. Innamoriamoci sempre di più della parola di Dio, perché essa ci indichi la strada migliore per rendere testimonianza a Dio. Il Verbo che si fa carne nel seno della Vergine Maria sia ogni giorno lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino (cf Sal 118).

2. Oggi è quanto mai urgente “portare” lo sguardo di Dio, in ogni nostra realtà sociale, culturale ed ecclesiale, per custodire e ridare dignità ai piccoli, i cui angeli vedono il volto di Dio. La dignità di cui si preoccupa la società attraverso l’aiuto alla famiglia, alla scuola; di cui si preoccupa la Chiesa attraverso l’iniziazione cristiana con il battesimo, la cresima e l’eucarestia, attraverso l’iniziazione alla preghiera per “risvegliare” le coscienze in una conversione continua a Dio, attraverso gli oratori e tutto l’impegno delle scuole cattoliche. Tutte queste realtà umane, guardate con lo sguardo di Dio, diventano vie di missione e ministero.

Tra queste numerose strade, la famiglia riveste il ruolo più importante; in quanto via della Chiesa essa è «una via comune, pur rimanendo particolare, unica ed irripetibile, come irripetibile è ogni uomo; una via dalla quale l’essere umano non può distaccarsi» (S. GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, 1994). Bisogna considerare la famiglia come luogo di socialità, poiché essa costituisce una forma particolare del vivere umano. In questo senso, l’aspetto centrale che desidero sottolineare è quello del ruolo specifico che la famiglia è in grado di svolgere, ed è chiamata a farlo, rispetto alla convivenza ecclesiale e civile, ossia quello di mediazione dei valori cristiani e umani che rendono vivibile il nostro mondo come lo era il “giardino”, la terra donata da Dio all’uomo, nel racconto della creazione.

La famiglia deve essere allora luogo di crescita morale che sostiene l’individuo nella capacità di accorgersi dell’altro, di accoglierlo con i suoi limiti e diversità con lo sguardo misericordioso di Dio. Ciò significa far crescere nei nostri cuori la necessità di apertura e formazione all’attitudine del convivere umano. Siamo

consapevoli che questo di solito non accade senza conflitti, ma il tipo di relazione possibile nella famiglia è manifestato principalmente nel poterli vivere superandoli con pazienza e fiducia. Il conflitto, non è la morte e fine del mondo, e non è nemmeno la fine di un rapporto anzi, può addirittura far consolidare il rapporto stesso.

Ecco allora che nella famiglia bisogna testimoniare la virtù umana ed evangelica insieme della solidarietà come realtà di dono per l’altro in un mutuo arricchimento. Infatti, la formazione e la crescita non devono essere a senso unico, ma vanno dal padre al figlio e dal figlio a padre, in una dinamica di reciprocità. Per questo la famiglia sarà chiamata ad essere luogo di interiorizzazione ed insieme luogo di apertura ai problemi umani più vasti da comprendere anch’essi con lo “sguardo” della fede. Non possiamo fare finta di non vedere, come se l’altro non esistesse, come se il forestiero non interpellasse anche la mia coscienza, come se l’anziano che spesso vive nella famiglia, non fosse ancora una risorsa preziosa e un dono da accogliere. Papa Francesco lo ricorda in maniera forte: «E’ indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigenti, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc.» (EG 210).

3. Dobbiamo allora essere in grado di creare più comunità, cioè vivere e far vivere secondo il desiderio del Padre sin dalla creazione: far nascere una famiglia, fare famiglia. In questo sta la nostra obbedienza più vera a Dio. Comprendere e accogliere questo imperativo morale come dono, significa allo stesso tempo essere chiamati ad assumerlo con responsabilità secondo il suo disegno, vivendo da “credenti” la nostra storia sociale e relazionale.

Abbiamo il compito, delicato e gioioso, di essere cooperatori del Regno, non costituito da una comunità di perfetti ma, che si distingue per il perdono, per l’accoglienza, per la tolleranza e l’onestà. Questi sono i valori che devono essere

mediati e testimoniati nelle famiglie sempre più indebolite nella loro identità di essere scuola di comunione e di fraternità. Per vivere questa comune vocazione bisogna innamorarsi sempre di più delle nostre realtà familiari e, in senso più ampio, delle nostre comunità ecclesiali. Allontaniamo la tentazione dello “smarrimento”, del “perderci” come atto volontario, come racconta la parabola della pecorella smarrita (cf Mt 18,12-14). Smarrirsi per una pecora equivale ad uscire dal gregge, andare fuori strada: questo per l’animale può rivelarsi come esperienza di morte.

Per l’uomo può manifestarsi come disamoramento della comunità, della famiglia, disgusto e sfiducia verso di essa. Ricorda il card. Martini che nel raccontare questa parabola «forse Gesù stava pensando a Giuda, che stava covando amarezze dentro di sé per poi abbandonare la comunità dei discepoli» (C.M. MARTINI, Cercate Gesù). Volgiamo lo “sguardo” soprattutto verso coloro che fanno fatica a trovare Dio, tutti coloro che fanno fatica a trovare un senso nella loro vita, a coloro che fanno fatica a trovare gioia nel cammino della Chiesa, infine tutti coloro che non vedono chiaro nell’esistenza e che rischiano di perdere la gioia di vivere, perché «la via più breve per andare a Cristo è la deviazione per l’altro» (cf F. BALBO, A piedi verso Gerusalemme). Per noi cristiani la parola “smarrirsi” può voler dire abbandonare la pratica cristiana, perfino la fede, addirittura la speranza della vita, quindi ritrovarsi affaticato, stanco e deluso. Per questo le famiglie sono invitate ad inculcare il senso di appartenenza alla Chiesa, alla comunità dei fedeli, trasmettere la fede che ci è stata trasmessa dai nostri genitori, perché nel cuore di Dio è presente il desiderio di costruire esperienze di vita fraterna secondo la tradizione più vera delle nostre comunità.

Mentre la famiglia rappresenta il terreno fertile per accogliere la Parola, è l’Eucarestia che ci fa sempre più famiglia, e per farlo ha bisogno di una mensa attorno alla quale condividere la vita, come Gesù che volle incontrare Zaccheo a casa sua. In questo contesto di appartenenza-relazione, dobbiamo riscoprire la bellezza della preghiera e la necessità di ritrovarci tutti intorno alla mensa

eucaristica, perché solo chi è capace di “sostare” con il Signore, sarà capace di stare in mezzo agli uomini ed accoglierli con misericordia. Anche il presbiterio con il suo vescovo deve riscoprire il posto della preghiera nella spiritualità presbiterale, valorizzando nelle parrocchie i momenti di preghiera silenziosa già presenti nell’azione liturgica, nei vari gruppi e soprattutto tra i giovani.

Testimoniamo alle nuove generazioni che è nel gesto dello spezzare il pane, la nascita della condivisione che dice relazione tra persone. Viviamo il “giorno del Signore” come chiamata ad annunciare la gioia del Vangelo e custodire il tesoro che abbiamo trovato. I giovani e i piccoli saranno sempre più incoraggiati a celebrare e santificare la domenica, se tutti insiemi, genitori e figli, fratelli e sorelle, educatori e catechisti, ci incamminiamo per vedere Gesù che passa. Così, fuggendo dall’individualismo e da una coscienza isolata, la gioia del Vangelo riempirà il nostro cuore (cf EG 1-2).

4. «Gesù, l’evangelizzatore per eccellenza e il Vangelo in persona, s’identifica specialmente con i piccoli» (EG 209; cf Mt 25,40). Il più piccolo nel regno dei cieli e quindi il più grande, è Gesù stesso, Gesù fattosi bambino, fattosi umile, povero, perseguitato, crocifisso. Chi lo seguirà sarà come lui e sarà rivelazione del Dio che si è fatto piccolo per i piccoli. Ma accogliere Gesù significa accogliere e condividere la sua stessa logica di vita che è quella del servizio nella carità. Per questo saremo veramente beati se sapremo accogliere la Sua parola e la mettiamo in pratica (cf Lc 11,28), se sapremo rispondere, in altre parole, in modo corale, alla domanda precisa e impellente: «Dov’è tuo fratello?» (Gn 4,9). Il “beati voi” ricorda che, in una storia dove è presente l’efficacia del peccato, vivere in pienezza la relazione

con il Signore e in modo leale la relazione con il fratello, cioè vivere in pienezza il senso umano della vita significa, come lui, andare incontro anche all’incomprensione, alla sconfitta, alla croce. Tuttavia è dal Calvario, da quel punto più alto della terra, che avremo la capacità e la libertà di avere uno sguardo simile al Signore che viene.

Cari amici, Papa Francesco nell’omelia della Solennità di Cristo Re, chiudendo la porta santa in San Pietro ci ha detto : «Chiediamo la grazia di non chiudere mai le porte della riconciliazione e del perdono, ma di saper andare oltre il male e le divergenze… Come Dio crede in noi stessi, infinitamente al di là dei nostri meriti, così anche noi siamo chiamati a infondere speranza e a dare opportunità agli altri. Perché, anche se si chiude la Porta santa, rimane sempre spalancata per noi la vera porta della misericordia, che è il Cuore di Cristo».

Se viviamo tutto questo, se ci impegniamo a renderlo desiderabile a quanti incontriamo nella nostra vita, sulle nostre strade, allora i nostri piedi assumeranno la bellezza del vero apostolo. La Vergine Maria, madre di Gesù e della Chiesa, sostenga i nostri passi che spesso divengono incerti, sfiduciati e stanchi. Sia in lei la sorgente della nostra forza che fa maturare la capacità di rispondere con entusiasmo e fiducia: Eccomi!

Buon cammino di avvento. Buon cammino di santità!

Ariano Irpino, Avvento 2016.

Il vostro vescovo

XSergio

Diocesi <br>Ariano Irpino - Lacedonia

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