Convegno Pastorale. Il Vescovo propone la cura della famiglia nel terzo intervento

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«Dalla Gioia del Vangelo alla Gioia della Famiglia: un percorso educativo da condividere»

XXXV° Convegno Pastorale – Ariano Irpino, 25 – 26 – 27 – 28 agosto 2016

Franco Miano e Giuseppina De Simone

«Aver cura della gioia: la responsabilità della famiglia»

27 agosto 2016 – ore 16,30

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         Buona sera cari amici,

 Un grazie di cuore ai coniugi Pina De Simone e Franco Miano per la loro presenza e la loro riflessione.

            Prendersi cura è una necessità della vita: aver cura di sé è prendersi cura dell’altro. Il Dio Cristiano ci rivela la strada della relazione ed è connaturale nella diversità delle persone, che costituiscono la famiglia.

            Nel testo della Genesi si legge: “E Dio disse…”. La storia dell’uomo, della famiglia umana, inizia con un atto del parlare di Dio perché la nostra esistenza inizia con una Parola di Dio, così come quella del mondo della relazione in cui l’uomo è collocato e con cui interagisce. Una parola che rivela attenzione amorevole, che mostra un desiderio mai sopito di accompagnarsi a scoprire la bellezza e la gioia dell’incontro.

            L’amore è un fenomeno cangiante duttile e soggetto al divenire, Il cristianesimo proietta in Dio questo modo d’essere: Dio è Amore. Questo è insito nel desiderio di comunicarlo con gratuità nell’atto libero e amorevole della creazione.

            Nel Figlio di Dio Gesù Cristo noi sperimentiamo l’incontro personale, sponsale-creazionale di Dio che si dona per la nostra liberazione e redenzione.

            Appare nell’atto di creazione, il voler bene all’altro – ed l’ambito familiare è un vero e proprio laboratorio di questo Amore – Ciò non significa far dipendere  l’altro da me: nel vero rapporto d’amore vi è uno scambio nel ricevere e nel dare.

            Emerge, quindi, la dinamica del dialogo che non può avere solo caratteristiche sociologiche, ma un vero dialogo crea comunione ed è la cifra dell’educazione.

            La famiglia va dunque amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione non solo per i figli, ma per l’intera comunità̀. Deve crescere la consapevolezza di una ministerialità che scaturisce dal sacramento del matrimonio e chiama l’uomo e la donna a essere segno dell’amore di Dio che si prende cura di ogni suo figlio.[1]

            Ogni Amore che produca la Gioia di vivere insieme è come un “girotondo” che si espande tra un Io ed un Tu… un noi…

            Oggi, molti di noi credono che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a piacimento  […] Penso anche al timore che suscita la prospettiva di un impegno permanente, all’ossessione per il tempo libero, alle relazioni che calcolano costi e benefici e si mantengono unicamente […] per rimediare alla solitudine […] Si trasferisce alle relazioni affettive quello che accade con gli oggetti e con l’ambiente: tutto è scartabile, ciascuno usa e getta, spreca e rompe, sfrutta e spreme finché serve. E poi addio. Il narcisismo rende le persone incapaci di guardare aldilà di se stesse, dei propri desideri e necessità […] le rotture dei legami avvengono molte volte tra persone adulte che cercano una sorta di “autonomia” e rifiutano l’ideale di invecchiare insieme prendendosi cura l’uno dell’altro e sostenendosi. [2]

            L’incontro responsabile e amorevole è la risultante di una compagine quale la famiglia che è nello stesso tempo quanto mai semplice e complessa. Vi è un incrocio di libertà, tra sfere di vita che non sono comunicabili, di pensieri e anche di solitudine, un circolo virtuoso da edificare.

            Su questo scenario prendersi cura della Gioia è un’arte che si apprende insieme…

            Mi pare che Amoris Laetitia di Papa Francesco ci voglia far percepire di essere chiamati a prenderci cura con amore della vita delle famiglie «perché non sono un problema ma principalmente un’opportunità” (Papa Francesco)

            Al tempo stesso dobbiamo essere umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo […] Né abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete. Altre volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente ma tutto il contrario.[3]

            Bisogna comprendere e far in modo che questa sfera di rapporti non resti duale né meramente privatistica. Non possiamo parlare solo in termini contrattuali delle nostre relazioni. Ieri, monsignor Milite, ci aiutato in questo verso con la sua riflessione sulla riforma voluta da Papa Francesco.

            La famiglia per non divenire stantia e divenire una convivenza tra due egoismi si deve aprire ad un terzo…al figlio…

            Il matrimonio vive se esiste – quando umanamente è possibile –  questa apertura alla vita.

            Questa legge del terzo incluso e accolto ci induce a pensare alla vita trinitaria…a Dio.

            Una vita di comunione da costruire… – partendo da ciò che Emmanuel Lévinas chiama il “faccia a faccia” – , ponendo in rilievo l’originalità irriducibile del modo in cui si offre il volto dell’altro, dove l’espressione “mio prossimo” assume dall’esperienza un’affermazione di fraternità.

            La solitudine è oggi una difficoltà che provoca la fuga da una relazione che, invece, accende il focolare domestico di gioia: una delle più grandi povertà della cultura attuale, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità delle relazioni. C’è anche una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie. […] Spesso le famiglie si sentono abbandonate … [4]

            I primi ingredienti di una famiglia che si dica cristiana sono un uomo e una donna che s’impegnano a costruire un’unità fondamentale di se stessi, pur senza compromettere le loro due personalità uniche e peculiari.

            Abitare la famiglia vuol dire vivere la bellezza del dialogo tra le generazioni, l’intensità̀ delle relazioni e la gratuità. Vuol dire far esprimere al meglio i tratti specifici della maternità e della paternità, che diventano eco della cura amorevole di Dio per l’uomo.

            La gioia del Vangelo riempie – così – il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù̀. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento.[5]

XSergio Melillo

vescovo


[1] CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti Pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 38.

[2] Amoris Laetitia,39

[3] Cfr. Amoris Laetitia,39.

[4] Cfr. Amoris Laetitia,43.

[5] Evangelii gaudium, 1.

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