Giovedì Santo: Messa del Crisma. Omelia di S. E. Mons. Sergio Melillo

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Omelia Messa del Crisma

28 marzo 2024

Basilica Cattedrale Ariano Irpino

L’OMBRA E LA GRAZIA

Carissimi fratelli e sorelle,

Carissimi presbiteri,

 questo è il giorno che restituisce senso alla nostra vita, alla nostra vocazione.

Il giorno in cui la nostra esistenza di presbiteri  ha preso forma,  tra il Cenacolo e la Croce.  

Perseguiamo ciò che San Paolo VI° affermava di dover essere governati dalla legge della semplicità e della limpidezza.

Cari fratelli, il Signore in un giorno, per  alcuni prossimo e per altri lontano, fummo colti dallo stupore della Sua presenza e ci sentimmo chiamare per nome.

Custodiamo sempre quella gioia che ha generato il nostro impegno e la comune  responsabilità nella Chiesa.

Veniamo al punto: siamo stati consacrati come Gesù nella Sinagoga a Nazaret per amare e servire.

Attenti – però – al  rischio  incombente di soffocare lo Spirito!

C’è bisogno di coraggio per  essere quello che davvero siamo,  servitori della Gioia.

La luce della Grazia ci illumini il nostro percorso, spazzi via le ombre del cuore, dia consistenza al nostro impegnativo ministero, spesso incompreso e marginale.

È la luce della Grazia che fa chiarezza a tutti noi nello scoraggiamento, ed è  sostegno tra fratelli in  cammino con un unico sogno.

Oggi  è il tempo per una sosta meditativa: rileggere gli anni  del primo amore e in un grato  flashback:  senza cadere in inattuali nostalgie!

Nel silenzio, prostrati come quel giorno dinnanzi all’altare, vogliamo Signore rinnovare, tra le povere mani del Vescovo, la nostra libera decisione, la nostra obbedienza ed ascoltare la Tua Parola di vita eterna.

Anche se possiamo apparire  smarriti, Signore ti chiediamo: cosa fare oggi che il ministero ci incalza sul futuro?

Figli carissimi, con cuore libero riflettiamo, primariamente, sul nostro essere preti nel cambiamento. Diamo  spazio a Dio!

Avviamoci insieme e con fiducia su strade ancora inesplorate; coscienti che l’uomo ha smarrito la ‘via’, nella presunzione nichilista dell’autosufficienza, tracciando strade ‘sconnesse’ di vita, senza Dio, senza l’umano.

Andiamo da fratelli incontro all’umanità, come i primi evangelizzatori a Gerusalemme, ad Antiochia, Corinto, Atene, a Roma…, in un mondo ostile, ma assetato di ascolto e di relazioni.

Il nostro ministero sia segno sincero della Divina Presenza:  l’Eucarestia ci insegna che Dio non è morto.

Il tentativo fallito del Suo assassinio, della Sua rimozione, ne è la smentita certa, è l’invito a  comprendere che il Signore è stato spesso ridotto ad un mero culto ‘vuoto’, ad un Dio tappabuchi, in una liturgia vissuta senza pathos, senza linguaggio.

Siamo consacrati  per svelare che Dio  non abbandona l’umano.

Nel pane e nel vino è racchiusa la creazione, la fatica del lavoro, l’indigenza, l’amore per la nostra  nostra terra.

Iddio restituisca in questo tempo di passioni tristi  la dignità violata dal peccato, dall’odio, dalla guerra, dalla povertà, dalla persecuzione di chi si impegna a non contraddire la fede Cristiana.

Il giorno della nostra ordinazione, siamo stati unti per profumare il Mondo, per essere guariti dalla fragilità, dalla tristezza.

Attenti, però, che “La Chiesa – la vita – è sterile se lo Spirito di Gesù Cristo non la feconda” (H. De Lubac).

Come in una famiglia, tra le mura di casa,  nell’intimità dell’Eucarestia, spezzata dalle nostre stanche mani, il Vangelo ci interroga sulla consapevolezza della   priorità dell’annuncio cristiano.

Mostriamo la Chiesa per quello che è: casa ospitale dal profumo di pane, dove tutti sono accolti.

         Facciamo un lucido e costruttivo discernimento su ciò che erige le barriere, dogane alla Grazia,  tra noi e il mondo, generando l’opacità del cuore, che è l’inesorabile condanna al progressivo  isolamento.

Cari amici, rifuggiamo metodiche pastorali asfittiche che velano la bellezza della Chiesa, la Sua mistica trasparenza, come una predica  sterile e              narcistica!

         Non attecchiscano diffidenze come quando la Chiesa ha il volto di una  cittadella assediata, rinserrata in un cenacolo senza Spirito, un Tempio inaccessibile, portando in sé stessa l’agonia della morte!

La tenerezza materna della Chiesa – invece – ne palesa la sua vera natura!  

La preghiera è il nostro compito sacerdotale che genera l’agire e a rafforza la  presenza fraterna.

Riconosciamoci amati dal Padre, liberi dal declino del mondo, dai  falsi bagliori che schermano tanti dolori.

Vi sono grato perché ci siamo coinvolti nella missione faticosa  e bella dell’annuncio del Vangelo!

L’essere inviati nel mondo per spezzare le catene della schiavitù del peccato, dell’ingiustizia e dell’oppressione, per spezzare il pane dell’amicizia con purezza e libertà di sguardi, custoditi solo dallo sguardo di Dio.

Questa è la vera Gioia della quale dobbiamo essere  i messaggeri!

Siamo feriti come tutti ma, redenti, evangelizzatori che riscaldano il cuore dando ragione al valore della vita.

La Vergine Maria, Regina degli Apostoli,  ci custodisca nel  Suo materno amore.

+ Sergio, vescovo

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