Introduzione del Vescovo al Convegno Pastorale Diocesano (Ariano I., 30 agosto 2018)

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Carissimi, all’inizio dei nostri lavori mi sento di esprimere, a nome della Diocesi e mio personale, la vicinanza e l’affetto al nostro amato Papa Francesco, che con paternità guida la Chiesa illuminando con la sua testimonianza e il suo magistero il cammino pastorale. Colpire il suo ministero è un attacco al Vangelo e alla Chiesa. I cammini educativi s’incrociano con i fallimenti e le delusioni del nostro tempo. Come Giona, che non deve andare in tutto il mondo, ma gli è chiesto: «Và a Ninive!» (Giona 1,2), anche noi dobbiamo andare dove Dio ci svela la Sua presenza: tra le nostre case, nella vita, tra la gente. Anche se noi, tentati come Giona, vorremmo fuggire verso Tarsis o rimanere laddove ci siamo sistemati! Inizia oggi il convegno con questo desiderio di stare insieme a riflettere. Sono – innanzitutto – grato a tutti per l’impegno pastorale! Il tema indicato esprime quello che si è condiviso nel testo che accompagna il programma. Siamo in un’epoca di sfide e di attese, «stranieri e pellegrini come i nostri padri» (cfr. 1 Cronache 29,15). «Nuove culture continuano a generarsi, il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma riceve da esse altri linguaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù». (Papa Francesco). Oggi la tecnica la fa da padrone rispetto a quando le relazioni si percepivano con lo sguardo. Per usare – una metafora di Heidegger – il pensiero sa solo calcolare e far di conto, è diventato l’unico pensiero in circolazione che mette fuori gioco un pensiero capace di riflettere di ringraziare e denso di gratuità. I nostri giovani sono protagonisti del futuro ma, appaiono lontani anni luce dal mondo che li precede. Questa è la sfida e dobbiamo avere coraggio! La Chiesa si deve accreditare come portatrice di valori in uno scenario che ne propone diversi, ma che di fatto teme i valori universali come contestativi dei suoi spazi di libertà. Si parla di perdita delle evidenze etiche, di principi che erano costruttivi ed indiscussi. La nostra è una società complessa e frammentata. Dobbiamo con fiducia interrogarci sulla proposta di fede sulla modalità del servizio ecclesiale che leghi le nostre comunità, senza tradirne le identità ma, senza confini. Un servizio pastorale che accompagni le nuove generazioni, soffrendo e gioiendo insieme. Più che la ricerca della pecorella smarrita si tratta di far ‘lievitare una massa smarrita’. Ha valore la prossimità e l’ascolto, non tanto la vuota ritualità che è, a volte, l’eterno ripetere dell’identico, avendone smarrito la motivazione. Il nostro sogno da cristiani è capire quale senso provvidenziale – anche se inedito – ci rivela la storia che avanza. Ci sono consegnati dei dati, un’analisi, per capire dove si volge il nostro mondo, per far sintesi nell’attualità. È una vocazione che abbiamo accolto per percorrere una nuova strada per evangelizzare, per iniziare alla fede cristiana. Di fronte ai tempi e ai segni “sbiaditi” che lascia, non possiamo piegarci come un “giunco” finché sia passata la piena… Abbiamo sott’occhio una cultura inedita che progetta la ‘città’, la vita. Italo Calvino diceva la città, la vita, è fatta «di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato». Le nostre comunità ci hanno trasmesso un patrimonio di fede, di cultura, di arte, di emigrazione, di lavoro da riannodare al presente. Siamo cittadini di una realtà composita, fatta di antichi borghi. La nostra gente apprezza il lavoro pastorale nelle parrocchie, dei sacerdoti, dei diaconi, dei religiosi e di tanti operatori pastorali. Non va ignorato il tempo che viviamo. Non possiamo isolarci! È un tempo nel quale l’individualismo e le solitudini sono in agguato, anche se la speranza è nutrita dall’entusiasmo di tanti credenti. Siamo una generazione dove ‘tutto è connesso’, dove la dimensione sociale, antropologica, culturale è segnata da un processo di astrazione che impoverisce la vita. L’individualismo rischia di ‘avvitarci’ in un processo autoreferenziale dimenticando che siamo testimoni di un messaggio che è frutto dell’incontro personale con il Vangelo. Una città è l’espressione di un progetto da attuare insieme. È possibilità d’incontro. Luogo che vive di solidarietà fra persone che pongono la fiducia le une nelle altre. Il cristiano perciò esce da se stesso per abitarvi e portarvi un seme di speranza e di pace. Impariamo a coltivare degli ideali, a sognare insieme! Quando si sogna da soli si corre il rischio di risvegliarsi delusi e impauriti, ma quando si sta insieme, si vive in modo autentico. Attenti, però, a non cadere nella trappola della nostalgia dei tempi andati ad avere uno sguardo ‘retropico’ che ci fa volgere al passato. La via da percorrere ha inizio dall’appello di Gesù a vivere la carità con giustizia. Troppo spesso «immaginiamo la carità come qualcosa che ci proponiamo di praticare, e che ci dà merito agli occhi di Dio» . La vera carità è Amore, è il serio interesse per gli altri. Riflettiamo così sulle difficoltà dei giovani a trovare un lavoro, sulle famiglie che perdono il contesto di «piccola scuola di vita» (Paolo VI) in cui anche i rapporti tra le generazioni sono come ‘spezzati’. Unico antidoto alla razionalità totalizzante della tecnica e del mercato rimane solo l’Amore che ha come incubatore – sempre più fragile – la famiglia … in una società che – Max Weber – definiva “una gabbia d’acciaio” dove tutto è calcolo ed interesse, persino le relazioni più intime e più umane. Ciascuno cerca nell’altro il proprio io, quindi, non tanto la gioia di una relazione quanto la gratificazione della propria autorealizzazione. Tutto è reso fugace, instabile e provvisorio, merce di consumo… anche il corpo, come in un eterno contratto part-time, a termine e precario. La scarsa fiducia oggi si palesa nella fuga dai territori e in un calo della natalità. Si coglie come una rassegnazione che si traduce nella mentalità – direbbe Carlo Levi – del ‘niente’ e del ‘mai’. «Le società e le culture del nostro tempo sono segnate da alcuni snodi. Il loro continuo ripresentarsi ce li fa riconoscere come segnali del cambiamento d’epoca … I giovani li avvertono come fonte di nuove opportunità e di inedite minacce. (Una) ‘metamorfosi’ della condizione umana, che pone a tutti, e in particolare ai giovani, enormi sfide nel cammino di costruzione di un’identità solida». (Lineamenta,51). In verità, l’immagine moderna del mondo si disintegra, un’altra ne appare…. E’ tempo di rinascita della Chiesa nelle anime. (Romano Guardini). La Chiesa “esperta in umanità” sta sul fronte educativo. Come cristiani la fede è la cifra. È la norma per umanizzare la vita: amare e sentirsi amati, accolti. Sui volti dei giovani “sottoproletariato dello spirito”, nei tanti non luoghi che abbiamo disseminato, va colta la richiesta di dialogo e il bisogno d’aiuto anche se è mimetizzato con maschere d’inappagante consumismo. Un’indagine dell’Istituto Toniolo ha acceso una luce sul rapporto tra i giovani e la fede. Emerge che esiste un dialogo interiore dei ragazzi con Dio, ma la percezione del divino è spesso modulata in modo molto soggettivo. I ragazzi fanno fatica a capire il linguaggio della Chiesa e a partecipare alle sue liturgie. Ci dicono che il cattolicesimo è spesso confuso con una ‘pratica istituzionale’ e l’iniziazione catechistica alla vita di fede è sentita come un obbligo pesante, incapace di dare significato alle loro esistenze. Ho avvertito anche io tale condizione nella straordinaria esperienza della giornata diocesana dei giovani a Montefalcone Val Fortore. È stato tempo prezioso che ho trascorso con i nostri giovani, non solo a coronamento del cammino vissuto insieme in preparazione al sinodo ma, per riflettere sul futuro! Sono trascorsi cinquant’anni dal ’68, in quel marasma quella generazione voleva rielaborare il senso della vita. Oggi «Il disincanto verso le istituzioni può risultare salutare se si apre a percorsi di partecipazione e all’assunzione di responsabilità senza rimanere prigionieri dello scetticismo». (Lineamenta, 60). Voi giovani avete tanto da dire! Domande, speranze e sogni che a volte fanno a pugni con la realtà che sperimentate stretta, vecchia e faticosa. Non rifugiatevi per cortesia nel privato tecnologico che isola e ‘scherma’ la vita! Fidatevi di Gesù e della Sua Chiesa la quale, seppure impastata di limiti, custodisce il germe della grazia e della santità. Ci incontriamo per dialogare, ascoltare le vostre attese e condividere i vostri sogni. Il senso dell’invito ad “abitare la città” è questo: siamo nel mondo per non essere degli a-storici, a vivere con i piedi per terra avendo lo sguardo rivolto alle cose del cielo (Cf Col 3,2). La questione sociale odierna è l’incontro con le nuove culture. Dalla capacità di valorizzare questi incontri si potrà edificare il futuro della Chiesa. Città dice anche relazione e comunione. Invece, paradossalmente la città è il luogo dove tende a verificarsi la rottura di ogni legame di solidarietà: l’altro non rappresenta una risorsa ma un problema. Nel dossier della Caritas si evidenzia che la città tende a coincidere con il suo sistema di funzioni, mentre si riduce fortemente il valore integrativo del luogo, distinguendo gli spazi in base alla loro funzionalità. Ha come delle «discariche» dove ci sono «vite di scarto». Ma, allora che spazio resta all’uomo? Prima di discutere di come si può contribuire a rendere più vivi i nostri contesti ecclesiali, dobbiamo chiederci che cosa davvero rappresentano. Abbiamo bisogno di continuare a sperare, davanti alle difficoltà di tanti fratelli, alle fragilità delle famiglie, alle preoccupazione del lavoro dei giovani e al travaglio di popoli che chiedono di essere accolti. Il Papa ci dice: «Ci vuole la speranza! Ci sentiamo smarriti e anche un po’ scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che questo buio non debba mai finire». Cristo è la nostra unica speranza, una speranza che mai delude (Cf Rom 5,5). Tre sono i punti da tenere in evidenza: – L’esercizio della serietà ecclesiale che è imposta dalla Verità che è Cristo: la nostra credibile testimonianza di pastori e laici. – Il coraggio, perché si deve affrontare il caos che sale nell’opera dell’uomo, dal mondo: le divisioni nell’opinione pubblica schiava di strumenti di non comunicazione ma di consumi, una generazione condizionata da una verità solo scientifica…. – La libertà: ossia la libertà interiore dalle catene della violenza in tutte le sue forme più subdole, dalle povertà, dalla sete di potere, dalla sua ebbrezza e dal suo carattere demoniaco che agisce fin nell’intimo dello spirito. La nostra vita deve far trasparire il legame con Dio che è frutto della vera libertà. Come far vivere questa dinamica alle nuove generazioni, oggi che ogni avvenimento fondante della vita è strumentale, ridotto a tecnica? In che consiste il fattore umano, per essere persone che sentono di essere chiamate da Dio? Oggi anche la visione giuridica norma che la vita stessa si possa spegnere a piacimento quando si reputa che si è giunti a fine corsa. Eugenetica ed eutanasia che, per anni, erano state considerate come simboli della barbarie nazionalsocialista sono oggi comunemente accettate dalla cultura dominante. Il grande assente appare essere Dio! La religiosità, lo sperimentiamo anche nelle richieste pastorali spicciole, è – a volte – ridotta al ‘fai da te’. Il cuore non percepisce più il sentimento che dica che tale genere di mondo valga la pena di essere vissuto. La vita pare come un motore senza olio, che non lubrificato, si ingolfa. Il “mi sento così” e, “sono fatto così”, relativizza ogni relazione. Noi non smarriamo la speranza, la fiducia perché siamo abbondantemente forniti di potenzialità dal Vangelo per restituire Amore alla vita! «Non accontentatevi – dunque – del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna…. Rischiate, andate avanti». (Papa Francesco, 12 agosto 2018) Affidiamo il nostro convenire alla Vergine Maria, alla Madonna, che è Madre nostra e Madre della Chiesa. Il primo passo da compiere è la preghiera perché ci educa a farne altri Nella preghiera noi usciamo dai nostri limiti per andare a Dio e abbracciare tutti i bisogni umani e portare nelle sue mani tutti i nostri bisogni, quelli dei giovani e tutto il peso del mondo sollevandolo fino a Dio. + Sergio, vescovo

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