Messaggio del Vescovo: La vita al tempo del “Coronavirus”

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I giorni grevi che attraversiamo invitano ad una sapiente gestione del tempo, ad un amore alla vita. Rimoduliamo il tutto – tra le pareti domestiche – alla luce di una “regola”. Una regola non intesa, però, quale insieme di mere prescrizioni ma, piuttosto, quale strumento utile di liberazione dai propri criteri. Una regola che rispecchia il ruolo rappresentato da Mosè per il popolo liberato dalla schiavitù: intesa come un “comando” che educa a vivere il Vangelo.
Questa improvvisa condizione “kafkiana”, spiazza tutti e ci costringe, da “reclusi in casa”, ad attivare contatti virtuali obbligati e indispensabili.
È tempo di rifioritura delle relazioni, da intessere con l’aiuto della Parola di Dio, con la preghiera, con la “prossimità”, con chi vive tra difficoltà e solitudini, tra le pareti familiari, come in una “piccola Chiesa”.
Ripristiniamo – innanzitutto – la relazione con Dio, riconosciamo che questa relazione filiale stabilisce in noi, dentro di noi, ancor più il bisogno di amicizia e di familiarità.
Viviamo, così, attraverso questa Passione la preparazione alla Pasqua.
Nel silenzio “fragoroso” che domina la piazza di Ariano e abbraccia con tristezza il profilo della città, i dolci declivi e gli ampi spazi che la circondano, una “folla” di volti mi ritornano alla mente, nello sguardo del cuore. Volti d’incontri tra la gente, nelle parrocchie, nei paesi, con i sacerdoti … che ora possono apparire lontani ma, sono vicini, tutti stretti nella preghiera e nell’abbraccio di Dio!
Consapevoli che il Signore continua a parlarci come Mosè « … faccia a faccia, come un uomo parla con un altro» (Esodo 33,11).E’ un dialogo che non si interrompe, si intensifica nella preghiera, attraverso questo “filo rosso” che la Chiesa continua a tener fermo nella prova. Distanti fisicamente sì ma, vicini ai piedi della Croce!
La fede nei pensieri oscuri è l’unico punto di riferimento luminoso. Il dono di Dio non tarda a venire: «Guarda in cielo e conta le stelle» (Gen 15,5). Solleviamo, quindi, in alto lo sguardo. Lo strumento contabile proporzionato alla generosità di Dio e alla sua fedeltà, è la bellezza della volta celeste luminosa, in queste notti, con le diverse costellazioni accese da Dio nel firmamento. Questa luce guidi i nostri pensieri, i nostri comuni sforzi, fedeli a quello che ci viene chiesto. Preghiamo per le persone nella prova, le nostre parrocchie, i sacerdoti, i medici, il personale ospedaliero, le istituzioni e in special modo per quanti si dedicano con amore ai fratelli nel bisogno.
Il Signore ci fa partecipi sempre della sua relazione con il Padre: «Vi ho chiamati amici perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio» (Gv. 15,15-16)
Essere amici di Dio, equivale ad essere compartecipi dell’opera di Dio, con relazioni da creare e da ricostruire quali fondamento della nostra umana esperienza. Urge, quindi, una rifioritura di relazioni nelle famiglie, nelle comunità, laddove si genera il bisogno dell’amicizia. Gesù, sempre accanto a noi, si è calato dalla sua infinitudine alla nostra finitudine, alla morte di croce, fino a donarci la vita nuova nella Risurrezione. È tempo di ritornare a vivere da risorti. L’apparente distanza che viviamo, in realtà, ci avvicina, ci fa sentire un Popolo e una Comunità. Ritroviamoci nella “comunione eucaristica spirituale”, intorno alla stessa mensa per un futuro di progetti.
Tra i limiti e la fragilità della vita è allora che “mi illumino d’immenso”.

+ Sergio Melillo
Vescovo

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