Natale del Signore: Il messaggio del Vescovo

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Cosa tiene accese le stelle?

Con il viso “rubizzo” dei bambini e lo sguardo acceso, a Natale si attendeva un sospirato “dono”.

La “letterina di Natale”, con parole allineate su un foglio illustrato e luccicante, dai propositi declamati davanti al presepe, era diretta al padre, che, come san Giuseppe, custode della vita tra il lavoro e la casa. Con la complicità affettuosa della mamma, nel pranzo di Natale, veniva letta, come in un rito, impettiti e timidi, con sguardi lucidi.

Questi ricordi ridonano il senso di famiglia tra paure e solitudini in questo difficile Natale. La memoria ci sorregge tra luci ed ombre.

Nel prologo del suo vangelo Giovanni dice: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe» (Gv. 1,9-10). Siamo all’incontro con il Salvatore, con lo stato d’animo di attesa, di un “dopoguerra”. Chiediamo al Signore di “fare luce” … perché è Lui la luce vera di cui abbiamo bisogno!

Nell’umanità del Bambino, generato nel grembo verginale di Maria, è custodito tutto il genere umano, vita vera che rischiara le tenebre del mondo: «Appari Signore, perché tutto è molto faticoso quando si perde il gusto di Dio» (A. de Saint-Exupery) e … si è smarrita la via di casa…

A Betlemme nella mangiatoia è deposto un Bambino, Vita donata nella notte, che ci attende, noi, pastori condotti dal chiarore della Stella. Il nostro è andare da Nazaret del “Sì” della Vergine, a Betlemme “casa del pane”, tra vecchio e nuovo, rottura e continuità, attesa e sorpresa.

Quella notte si accese una luce tra le braccia della Madre e lo sguardo vigile di Giuseppe; il bagliore della Grazia illuminava quel travagliato presepe, come i tanti presepi della storia, dove abitano solitudine e povertà.

A Natale celebriamo il Sacramento della povertà, dell’indigenza che ci accomuna. Scopriamo d’essere precari e che «nessuno può amare … se non può avvolgere con le sue braccia l’amato» (Fulton Sheen)

Finalmente, «… l’alba si accende, ed ecco l’aurora, poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente a ritornare a me che la chiamo e l’imploro …» (Paul Verlaine).

Nello scenario del mondo prorompe l’aurora, mentre le “cose” della fede apparentemente, sembrano perdere “smalto”. Ma non è così! Il Signore nella Sua provvidenza ritorna ad abitarci il cuore. Dio torna nell’umano: «Finché vivrò, non cesserò di invocare, per richiamare in me il Verbo: “Ritorna!” (Ct 2,17). E ogni volta che se ne andrà, ripeterò questa invocazione, con il cuore ardente di desiderio» (S. Bernardo di Chiaravalle).

In tempo di pandemia, di povertà di relazioni e di pane, spogli ed incerti, serve il coraggio della Santa Famiglia per andare “migranti” a Betlemme. In quella grotta – occasionale riparo – tra un bue ed un asino, si svela davvero il senso della Vita!

Nella mangiatoia vi è il sospiro della Misericordia, il vagito, l’alito della creazione nuova e salvatrice di Dio, la visione di maggiore umanizzazione del mondo.

«Il Verbo si fece carne» (Gv 1,14); il Volto di Dio, l’inconosciuto, assume il tratto umano da riconoscere con gioia nel Cristo Bambino, nei volti di casa e nei volti dei lontani, della gente, dei poveri.

A Natale chiediamo a Gesù di tenere accese le stelle, di donarci il coraggio di rinascere.

Santo Natale!

+ Sergio, vescovo

Diocesi <br>Ariano Irpino - Lacedonia

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