Omelia
MESSA DEL CRISMA
30 MAGGIO 2020 – ORE 11,00
CATTEDRALE
ARIANO IRPINO – LACEDONIA
«Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri»
(Isaia 61,1-3)
Carissimi presbiteri, diaconi, religiosi/e, seminaristi, popolo santo di Dio, stimate autorità civili e militari, cari volontari, grazie per essere presenza di una comunità viva in un tempo sospeso!
Avvertiamo il dolore, il vuoto dei lutti, per la morte di don Antonio Di Stasio, di Suor Emilia Scaperrotta, del diacono Antonio Pasquale e di tanti fratelli.
Siamo venuti in Cattedrale con spirito grato, per benedire gli oli sacri: dei catecumeni, degli infermi e del crisma affinché fluisca nella vita, nel nostro cammino vocazionale, quale espressione della Forza dello Spirito perché «oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (S. Luca).
Oggi come a Pentecoste ci si mostra la Chiesa Corpo di Cristo, visibile nella comunione dei sacerdoti con il vescovo, nella festa dell’unità con il successore degli apostoli, di tutti i fedeli.
Un evento che commuove in un incontro tanto atteso!
Siamo a casa, nella Chiesa Madre, che rassicura per un legame familiare, non siamo richiusi in una fortezza assediata, come può essere stata la nostra condizione nei lunghi giorni di solitudine, di preghiera, di ascolto, di timore.
Un tempo difficile nel quale vi ho sentiti vicini!
Siamo immersi in una esperienza che tutti mette a dura prova e ci ha ‘rivoltati’ nell’intimo come un guanto. Eppure osserviamo che tutto è cambiato, ma si corre il rischio possibile che nei cuori non cambi nulla.
Osserviamo l’affanno, il passo incerto della gente, dei nuovi poveri, delle nostre comunità nella difficoltà, come quando ci si avventura in una landa sconosciuta, o ci si inerpica su di un sentiero montano e non si ha il giusto orientamento sulla meta.
Abbiamo sguardi pieni di lacrime, di attese e di speranze verso un futuro che appare incerto per il lavoro, le famiglie, i giovani, le religiose provate come le suore di S. Francesco Saverio di Ariano.
Da cristiani, da sacerdoti, chiediamo al Signore il coraggio per viaggiare attraverso la tempesta «perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri» (Isaia).
Ci chiediamo: dove cercare la ragione di quanto accade?
Siamo stati spiazzati, proiettati su scenari nuovi, aldilà di consolidati stereotipi anche della pastorale. La fede nel Risorto, il dono del Paraclito a Pentecoste ci incoraggi allargando il nostro sguardo alla fiducia e alla condivisa responsabilità.
Il primo moto che ci abita il cuore è la chiamata all’unità, tante volte implorata, che è tutt’uno con la chiamata all’amore di Dio. Lo significa la sacramentalità stessa dell’ordinazione sacerdotale, lo esige l’Eucarestia, dal vescovo, dai presbiteri e da tutti i fedeli.
Al Signore sentiamo quest’oggi di dire: «Tu taci e lascia che parliamo noi, Abbiamo i cuori tanto colmi, non la finiremo mai di dirti tutto…» (Peter Lippert).
Ci sentiamo sommersi e salvati per Grazia, in cammino con le nostre comunità nel cuore, sapendo che il peccato è sempre in agguato con i suoi egoismi e i suoi pregiudizi.
Figli carissimi, siamo la Chiesa che, per atto fondativo del Signore, è l’irruzione dell’oggettivo nella nostra vita, che ha grande capacità di evolversi e senza compromessi.
La Chiesa non invecchia mai, conserva il vigore degli anni della giovinezza, la saggezza degli anziani, comprende con l’aiuto del pensiero, della preghiera, sostenuta dalla Madre del Signore, le ragioni della sua esistenza, la sua presenza e la sua attualità.
Imploriamo per tutti dal Signore la gioia, che è condizione essenziale, amorosa ed evangelica. La gioia è il moto dell’animo con quale Dio ci rianima, per discernere scelte determinanti.
Il sacerdote testimonia e diffonde questa gioia, quale visibile riflesso dell’amore di Cristo, ne attua la Presenza nella sua carne, con i segni efficaci dei sacramenti che rivelano in pienezza Gesù Cristo, riversati da lui – imago Christi – tra la gente.
Il mistero, il dono della vocazione sacerdotale, la sua vicinanza, chiede ai fedeli la filiale venerazione e gratitudine per i pastori.
Cari amici, amate i nostri sacerdoti! Nel sacerdote è custodito il più profondo e spirituale dell’umano. Il prete è un lottatore nel deserto delle relazioni, fratello che accompagna con discrezione e tutti accoglie con amore. Si uniscono, si mescolano in lui le grandi correnti del mondo, con il loro possente fragore: l’elemento umano e quello divino, la fragile umanità di tutti e la santità di vite donate.
L’Eucarestia sostanzia i suoi giorni e la sua vita, è un tutt’uno con il sacrificio di Cristo che dice: «Vengo a fare o Padre la tua volontà» (Lettera gli Ebrei). Ed è proprio la volontà del Padre che ha dato l’impronta alle Sue azioni: all’ascolto, all’obbedienza, all’abbandonarsi a Lui, alla Croce, alla resurrezione.
Siamo pastori stabilmente tra la nostra gente da amare fra le domande, anche le più difficili. Nell’Eucarestia celebrata e vissuta, nel corpo piagato del Risorto, troviamo l’anello di congiunzione tra il cielo e la terra a cui sorreggerci per compiere la volontà del Padre e dare risposte.
La «Comunione era l’atmosfera nuova nella quale quella cena pasquale era celebrata: un’atmosfera affettiva intensa e carica di quei sentimenti che superano lo stile della conversazione consueta, per quanto il linguaggio del Maestro mirasse sempre a condurre la comprensione dei suoi discepoli oltre i margini dell’esperienza sensibile e ad invitarla a respirare in una zona superiore di mistero e di trascendente scoperta di verità recondita e di divina realtà» (Paolo VI, Messa in Coena Domini 1976).
Sì, nella realtà, diceva Bernanos: «in una crisi dov’è in gioco il destino dell’uomo, se noi cattolici non parliamo chi parlerà?»
Cari amici, rivolgo quest’oggi un accorato appello ai responsabili della vita sociale affinché facciano tutto il possibile per la città di Ariano Irpino, per i nostri territori, per le famiglie, per il lavoro e per il futuro delle nuove generazioni.
Da parte nostra, vescovo e sacerdoti, continuiamo ad esserci fattivamente con la prossimità ai fedeli, con gesti concreti di sostegno, con la preghiera.
Cari presbiteri, vi sono immensamente grato per l’impegno profuso – ancor di più in questo frangente – nel ministero, nelle parrocchie, con la preghiera, con la caritas, proseguiamo insieme su questa strada e il Signore continuerà a benedirci!
La Vergine Maria ci custodisca maternamente nel Suo Cuore Immacolato e ci guidi nel cammino.
+ Sergio Melillo, vescovo