Ordinazione presbiterale di don Roberto Iacoviello

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Carissimi fratelli e sorelle,
amati sacerdoti, seminaristi, diaconi,
cari religiosi e religiose,
Carissimo Padre Franco e don Armando,
figli tutti nel Signore,
Cari genitori Giovanna ed Angelo e familiari,

«Come un astro mattutino fra le nubi…
come il sole sfolgorante così egli rifulse nel tempio di Dio»(Sir 50, 1.3-7)

ogni azione liturgica è appuntamento di grazia, celebrazione della Chiesa «sacramento di unità», popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi.
Lo è il momento che stiamo vivendo – uniti, stretti intorno all’altare del Signore, in ascolto della Parola e nutriti dal Pane di Vita: proprio da questa ripartenza si costruisce la comunione!
Ogni azione liturgica è azione di Dio nell’anima: azione misteriosa, silenziosa, ma che ci riconsegna alla vita rendendoci diversi da come ci ha trovati.
Ci fa riscoprire di essere come «bambini», con l’apertura alla grandezza che ci sta davanti ma che ancora non è compiuta.
E’ una forma definita della Speranza, che anticipa, introduce alla vita autentica della libertà, con i suoi segni che lacerano le costrizioni e fanno trasparire il cielo sulla terra.
È Dio il magnifico protagonista di questa misteriosa azione, che si va compiendo nel cuore – e si compie oggi in modo speciale per te Roberto -.
Questa sera spinto da una premura tutta paterna, per preparare il terreno del cuore a questa azione,voglio condividere con voi la domanda – che è una provocazione alla conversione – che la memoria liturgica di oggi e, il motivo del nostro stare insieme qui, mi ha posto.
Mi sono tante volte chiesto:cosa, della fede cristiana, deve aver conquistato il giovane Francesco, da convincerlo a farsi egli stesso conquistare?
Cosa, del Vangelo, deve averlo affascinato così tanto, da lasciare un brillante presente da ‘figlio di papà’ e un futuro pieno di aspettative, per scegliere una vita tra i più miserabili dei miserabili, vivendo appieno quelle parole di Paolo: «il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 10,6-18)?
Mi sono chiesto, alla vigilia ormai prossima della canonizzazione di questo gigante della fede – cosa deve aver convinto il giovane e brillante professore di Oxford, John Henry Newman, a convertirsi al cattolicesimo – che la società vittoriana dell’epoca non gli avrebbe perdonato?
Cosa, nel cattolicesimo, deve averlo attratto ed innamorato così tanto, da mollare tutto, per esser fedele a Dio che gli parlava nel segreto della coscienza?
Cosa deve averlo appassionato da scegliere di lasciare i sapienti e i dotti dell’Università di Oxford, per mettersi trai “piccoli”, a cui il Padre ha rivelato i misteri del Regno- come abbiamo ascoltato nel Vangelo?
Forse potremmo chiedere stasera a Roberto cosa, del Vangelo, lo ha conquistato nel profondo. Cosa lo ha convinto a lasciare la -cosidetta -comfort zone, e a mettersi in gioco per la struggle of life, (battaglia per la vita), inviato nella condizione diffusa del “sottoproletariato dello Spirito”?
Cosa, della fede cristiana, lo ha innamorato così tanto da convincerlo, a lasciare il progetto di avere una famiglia, a lasciare i propri sogni professionali, a lasciare la prospettiva di un futuro di successo in Università, per essere qui, stasera, a dire un «sì» che lo rende non più suo?
Senza dubbio, le risposte di Francesco, di Newman, e di Roberto, non sarebbero poi tanto diverse. Tutti e tre risponderebbero che ad averli fatti diventare «nuova creatura» – come scrive Paolo ai Galati -, non è stato un ragionamento, non è stato un sistema di pensiero, o un’insieme di argomentazioni lucide e penetranti. No, ad averli convinti alla loro radicale rinuncia è stato l’incontro con una persona.
Noi cambiamo solo se ci innamoriamo; noi rischiamo solo se ci innamoriamo; siamo disposti a perdere – e a perderci – solo se ci innamoriamo.
E non ci innamoriamo di un sistema di pensiero, ma solo di una persona.
Francesco forse ci racconterebbe che a convincerlo è stato l’aver incontrato Cristo negli occhi del lebbroso: il «fare misericordia con i lebbrosi»ha trasformato la sua vita, in «dolcezza dell’animo e del Corpo».
Newman ci spiegherebbe di aver avuto la forza di mollare tutto dopo aver trovato Cristo nella Chiesa Cattolica, e non altrove.
Roberto, forse ci direbbe di aver cambiato sogni dopo aver trovato Gesù nel segno di una chiamata ad una vita col cuore indiviso. Per tutti e tre – come per tanti altri nella storia -aver incontrato Gesù ha segnato il passaggio ex umbris et imaginibus ad veritatem, dalle ombre e dalle immagini alla verità – come è scritto nell’epitaffio del Cardinal Newman.
Il passaggio dai miraggi del successo, alla verità del successo; dai fantasmi della felicità, alla pienezza della felicità; dal fumo dell’amore che il mondo talvolta offre, all’amore vero, che non finisce. Il passaggio – direbbe il Salmista – dalle ombre di strade sbagliate e di gioie vuote, alla verità del sentiero della vita, della gioia piena alla Sua presenza.
Il Signore, caro Roberto, ti chiede di raccontare ad altri questo incontro. Ti chiede di vivere da innamorato, di mostrarti tale al mondo. Non è sufficiente per noi essere innamorati – e noi ci auguriamo che tu, Roberto, lo sia ogni giorno di più -; è necessario oggi mostrarci tali al mondo. La lampada, lo aveve detto Gesù, si mette in alto, perchè faccia luce.
Diciamolo chiaramente: se si converte solo chi si innamora, bisogna convincere l’uomo di oggi ad appassionarsi di Gesù.
E in che altro modo incoraggiare qualcuno ad innamorarsi di una persona se non mostrandogli quanto noi stessi ne siamo appassionati?
Incontrando Gesù prima noi come fece San Francesco al presepio di Greccio e alle stimmate della Verna, ovvero nei due misteri di Cristo, l’Incarnazione e la Redenzione.
Stasera questa realtà, questo dono è deposto fra le tue mani, è nelle mani di ogni sacerdote, è impresso nella carne viva del tuo Corpo donato e casto!
Un Corpo chiamato a percorrere una strada di sequela da vivere fraternamente. La fraternità è sempre una realtà “in cammino”, in costruzione, che chiede il contributo di tutti, senza che alcuno si escluda o sia escluso.
Una realtà in cui si possano vivere percorsi di apprendistato, di apertura all’altro, di interscambio reciproco; una realtà accogliente e disponibile ad accompagnare; in cui è possibile una sosta per coltivare il silenzio e lo sguardo contemplativo sulla vita e così riconoscere in essa l’impronta di Dio, per amare i fratelli con lo stesso amore con cui la madre ama e nutre il proprio figlio (cfr S. Francesco, Regola non bollata, IX, 11).
In tal modo, la vita fraterna è profezia nella Chiesa e nel mondo; una scuola e una casa da abitare in una relazione di amore filiale e di obbedienza con il Vescovo.
Il presbitero è chiamato a costruire un umanesimo partendo dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto dell’uomo.
È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche quella frammentata per le fatiche della vita, o dal peccato.
Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiaevultus. Lasciamoci guardare da Lui.
Caro Roberto Guardando il Tuo Volto la gente vorrà intravvedere sempre i lineamenti di Cristo.
Toccherà a te, nel dialogo cuore a cuore con il Signore, quotidiano, costante, scoprire i modi per mostrarti ogni giorno appassionato di Lui.
Da Padre mi sento di affidarti tre consigli, tra gli altri, che in un certo modo valgono per ogni cristiano, chiamato a diffondere nel mondo il buon odore di Cristo e del Suo Vangelo.
Primo: per mostrarti appassionato di Cristo, sii sorridente. Il Papa ce lo ricorda spesso, con parole diverse: la nostra gente ha bisogno di trovare in noi un sorriso.
Avrai le tue difficoltà, le tue occupazioni e preoccupazioni, ma vivi tutto con il distacco che ti consenta di conservare un sorriso sincero, sempre pronto ad essere donato.
Guai a noi se diventassimo – come spesso ripete il Papa, – “professionisti del sacro”, con la faccia ‘appesa’. Come potremmo altrimenti convincere il mondo che realmente il suo gioco è dolce e il suo peso leggero?
Secondo: per mostrarti al mondo innamorato di Gesù, devi mostrarti appassionato di comunione- con il tuo Vescovo, con i tuoi fratelli sacerdoti, con tutta la “santa Chiesa gerarchica”, come la amava definire Ignazio.
Se ci si appassiona a qualcuno, si comincia ad amare anche la sua compagnia. L’amore per il Signore non è mai un amore solo, solitario: è piuttosto un amore di comunione.
E non esiste vero amore al Signore se non si costruisce, giorno dopo giorno, una comunione con le altre membra della Chiesa.
Ricorda: la gente non sarà mai contagiata dalla tua passione per Gesù, se ti sentirà anche solo lasciar andar via una parola che ferisca la tua comunione con il Vescovo e con i tuoi confratelli nel sacerdozio.
Terzo, ed ultimo consiglio: per convincere il mondo ad appassionarsi di Gesù devi mostrargli dove ha origine questa passione. Devi, cioè, mostrarti loro come uomo di preghiera. Non basta, caro Roberto, cari amici sacerdoti, pregare: bisogna anche che la gente ci veda pregare. Una preghiera semplice, senza protagonismi o ricercatezze, ma costante.
Quanto riesce a muovere il cuore della gente trovare, entrando in chiesa, un sacerdote fermo, in silenzio, senza correre altrove, davanti al tabernacolo!
Ci aiuti tutti – sacerdoti e fedeli laici – San Francesco, ci aiuti tutti il presto Santo Cardinal Newman, ad essere cambiati dall’incontro con Cristo, e a mostrare al mondo il nostro volto di persone innamorate, che sono passate dalle vuote immagini del mondo alla verità della dolcezza senza fine alla Sua destra- come abbiamo pregato nel Salmo responsoriale.
E, caro Roberto, cari presbiteri, ci aiuti la Vergine Maria – Regina del Rosario, Regina delle Vittorie, nel mese straordinario della missione – a mostrarci al mondo come appassionati del Signore e del Suo Vangelo, sorridenti, artefici di comunione, uomini di preghiera.
Amen!

+Sergio,vescovo

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