QUARESIMA: UN NUOVO INIZIO. IL MESSAGGIO DEL VESCOVO

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La Carità di Cristo ci ha donato la preghiera essenziale, il Padre Nostro, preghiera universalmente vera e necessaria. È sempre attuale pregare ancor di più in tempi di assenze, di vuoti di memoria, dove è messa a dura prova non solo la paternità e la maternità ma l’umano ed anche quella struttura essenziale che meglio lo configura : la famiglia. La Quaresima – dice papa Francesco nel suo messaggio – è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell’amicizia con il Signore. Gesù è l’amico fedele che non ci abbandona mai, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui, per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Alla base di tutto c’è la Parola di Dio, che siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. Proprio questa Parola nelle prime battute del Vangelo di Marco con lucida chiarezza sintetizza la mission ecclesiale. Afferma Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium 27: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia., «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale». Questa ricerca deve avere un approdo – per dirla con s. Agostino -:«Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».[1] E’ proprio la missione educativa che c’è chiesta di affrontare. Un itinerario di educazione alla fede che tenga conto il cammino fatto partendo da una relazione fontale con il Signore. Non sempre nel nostro quotidiano ci si riferisce in modo adeguato alla Parola di Dio. La fede è un dono, essa deve suscitare una ricerca. E’ sì un dono da custodire, ma con il compito di trasmetterlo con lo stile di Maria: «…serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). La nostra è una generazione che deve comprendere che il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa. Innumerevoli sono le analisi fatte sul matrimonio e la famiglia, sulle loro difficoltà. E’ doveroso prestare attenzione alla realtà concreta, perché «le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia», attraverso i quali «la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia».[2]

Il compito della trasmissione della fede – partendo dalla famiglia – il fiorire di un “nuovo umanesimo”, esige percorsi pastorali da costruire insieme;«dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. Sappiamo che la migliore risposta alla conflittualità dell’essere umano del celebre homo homini lupus di Thomas Hobbes è l’«Ecce homo» di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva».[3]

La quaestio fidei è la sfida pastorale: come «far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e testimoniarlo? A partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo?»[4] Rispetto alle odierne problematiche bisogna chiedersi: «Che cosa, dunque, dobbiamo fare? Scrivevano già i vescovi dopo il IV° convegno Ecclesiale di Verona (2006): «L’appello ci spinge ad un rinnovato protagonismo in questo campo»: l’educazione. Proprio perché è matura la consapevolezza che «L’educazione è la frontiera per svolgere la missione evangelizzatrice». Ci è chiesto un investimento educativo capace di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al nostro tempo, alla vita dei nostra gente.

L’opera educativa della Chiesa è strettamente legata alle dinamiche culturali che vuole contribuire a orientare. Il mondo, il clima inquieto è ben più di uno scenario in cui ci si muove: con le sue necessità e le sue opportunità, provoca la nostra fede e responsabilità. È il Signore che ci chiede di interpretare ciò che accade, gli interrogativi dell’uomo: bisogna conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le attese, le aspirazioni e il carattere drammatico. Ci ricorda il Vaticano II: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita e sulle loro relazioni reciproche»[5]

Va detto che la Chiesa «esperta in umanità»[6] non può non coglierne le sfide. Vi è un sommerso bisogno di relazioni, di spiritualità e di dialoghi che permei la cultura, il territorio. Per tutti noi è come indicare un centro propulsivo, quale fu il monachesimo in tempi ormai lontani. Ossia un rinnovamento della parrocchia intesa non come luogo chiuso ma, ancora quale «fontana del villaggio» cui non far mancare l’acqua fresca spirituale nel deserto. Evitando una sorta di «sindrome» pastorale stile «Deserto dei Tartari» dove la Chiesa/Parrocchia/Fortezza è un avamposto al confine, sulla sommità di una montagna, microcosmo chiuso. Dove zelanti militari/fedeli che la abitano sono retti da un’unica speranza che è la ragione del loro esistere: vedere sopraggiungere gli “invasori”, i “tartari” per combatterli, correndo il rischio di consumare la vita nella sterile attesa, cullata dalla pigra abitudine, scandita dall’ignaro trascorrere del tempo. Mentre dobbiamo pensare ad una parrocchia che sappia creare una rete di relazioni positive – anzitutto – tra i preti primi responsabili della pastorale. Infatti, «La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare».[7] In questo dinamismo pastorale «non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro».[8]

La Quaresima è un tempo “giovane” di opportuna proposta, perché va percorso tutto – fino in fondo – con vigore, un tempo paradigmatico della nostra condizione! Un tempo in cui siamo invitati alla sobrietà, senza il flusso continuo d’inappagati desideri che stravolgono il cuore. Nel Medioevo, il cristianesimo penetrava nelle fibre più intime della società, la vita quotidiana oscillava – ricorda lo storico medievista Jacques Le Goff – tra Quaresima e Carnevale in una lotta immortalata da Pieter Bruegel nel dipinto del 1559 “Il combattimento tra il Carnevale e la Quaresima”, da una parte il magro dall’altra il grasso, il digiuno e l’astinenza, i bagordi e la crapula. Una tensione inquieta alla ricerca d’equilibrio per comprendere la dignità del corpo glorificato dalla presenza di Dio. Il Corpo mortificato ma amato, “Tabernacolo dello Spirito Santo”. Il Corpo è “il testo sacro” dove Dio si è incarnato. Un Dio non in disparte dalla Storia, che non chiude le porte al Mondo, non ghettizza, ma che, fino in fondo, lo accoglie e, con la Grazia del Suo Amore senza fine, redime e salva. La Quaresima con la sua dimensione d’ascesi, di liberazione dai fardelli che incatenano la vita, è un riappropriarsi della dignità del Corpo. L’ascesi, come ricorda il poeta Rimbaud, è “la lotta più dura di ogni battaglia degli uomini” ma va affrontata affinché riaffiori in noi la forza della Risurrezione. Non dimentichiamo che la Chiesa è il Corpo di Cristo. Il modo più vero, reale, sostanziale e certo di dare all’uomo un rinnovamento profondo è attingere all’Eucaristia – come spiega S. Tommaso – dove vi è “tutto” Cristo. Quale tempo migliore della Quaresima per dare equilibrio alla vita, ai rapporti che regolano la società, le scelte? E’ imparare a “digiunare” per condividere con i poveri. E’ un dare seguito ai passi della condivisione, abbattendo il mito fantasmagorico della moltiplicazione dei bisogni. Imparare a pregare. Un tempo d’investimento per gli ultimi. Allora, forse, cominceremo a saper vedere il volto dell’altro, oltre le paure e i desideri di possesso che albergano in noi e fomentano divisioni, soprusi e violenze.

+ Sergio Melillo


[1] Agostino, Confessioni, 111

[2] Francesco, Amoris Laetitia, 31

[3] Francesco, Incontro con i rappresentanti  del V° convegno nazionale della chiesa italianaCattedrale di Santa      Maria del Fiore, Firenze, 10 novembre 2015.

[4] Id., Omelia al Te Deum di ringraziamento, 31 dicembre 2011.

[5]CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 7.

[6]Paolo VI, Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 1.

[7] FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 28,

[8] FRANCESCO, Amoris Laetitia, 35

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